AbilityBook: «Tutto chiede salvezza»

Ecco le riflessioni del gruppo di lettura AbilityBook,
di venerdì 5 agosto

Il libro al centro dell’incontro di venerdì 5 agosto è stato “Tutto chiede salvezza” di Daniele Mencarelli. Attraverso le parole dell’autore abbiamo riscoperto molte emozioni e sensazioni diverse.
È stata una guida preziosa per fare spazio a discussioni profonde che ci hanno permesso di scoprirci e di confrontarci su questioni centrali come la disabilità, l’abilismo e l’accessibilità.

La trama:

È l’estate del 1994 quando Daniele si risveglia in un letto d’ospedale. Scopre di aver avuto un violento e distruttivo scatto d’ira (durante il quale il padre ha avuto un malore) e per questo i medici hanno deciso di sottoporlo a sette giorni di trattamento sanitario obbligatorio.
Daniele racconta così la settimana trascorsa in un ospedale psichiatrico e tutti gli eventi vissuti con i suoi cinque compagni di stanza, “incapaci di non soffrire, e di non amare a dismisura”: Madonnina, Giorgio, Gianluca, Mario e Alessandro.
Con ognuno di loro ha un rapporto molto diverso, così come è diverso il rapporto con i due dottori e alcuni infermieri.
Non c’è una vera e propria trama, ma un arco di trasformazione del personaggio nel corso delle giornate. Così giorno dopo giorno una nuova sensazione viene a galla, riscoprendosi attraverso gli occhi e le storie dei suoi compagni. Per la prima volta si sente ascoltato, in loro ritrova qualcuno in cui riconoscersi e man mano che passano i giorni riscopre anche se stesso.

I temi affrontati:

La salute mentale e il TSO.

I problemi legati alla salute mentale vengono spesso ignorati e sottovalutati dalla politica e dalla società. Chi ha un problema legato alla sanità mentale è lasciato o lasciata ai margini, a volte aiutato, ma in un modo decisamente lontano dalle vere forme di integrazione.
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio viene descritto da libri e film, ma spesso in un modo così romanzato che porta a porre delle distanze marcate. Così si arriva quasi a pensare ad un mondo inaccessibile e impossibile da comprendere al resto della società, un muro che separa un male e un bene, un giusto e un sbagliato.
Daniele racconta la sua storia, incasellato dal mondo esterno nella definizione di “malato di mente”, destinato ad uno spazio sociale e fisico stabilito dagli altri.

La prima cosa che ci insegna questo libro è che non esiste un unico rigido modo di essere e vivere un TSO. Abbiamo letto l’esperienza di diverse persone, raccontata dagli occhi di Daniele, ognuna con una vita e una storia diversa.

La distanza tra “noi” e “gli altri”, tra chi è dentro e chi è fuori.

A essere sbagliato è il punto di partenza della scienza, è la stima iniziale rispetto a cosa sia l’uomo, l’universo… è lì la loro miopia.
Tutto quello che l’uomo ha fatto di eccezionale in passato è stato anche grazie a quelle caratteristiche che oggi cataloghiamo come sintomi, patologie. Come la capacità di farsi ossessionare da una determinata cosa, un progetto, un’idea, un’opera d’arte. Dico solo che loro non vogliono curare, ma depurare, purgare. Invece dovrebbero saper dividere la follia buona, costruttiva, da quella cattiva e distruttiva. – Capitolo 3

Il protagonista ha due comportamenti: uno di fratellanza (con i compagni) e l’altro di distacco (con i dottori, uno dei quali sembra insensibile al suo male). Alla fine ciò che si rivela davvero significativo per lui è la relazione con i compagni.

C’è una suddivisione tra “noi” e “voi”.
Si tratta dello stigma sociale che vede le persone malate di mente come impossibilitate ad entrare in connessione con il resto della società. È un confine immaginario tra “io” e “l’altro” che porta inevitabilmente la persona malata di mente nel territorio della discriminazione. Così, impossibilitata ad entrare in relazione con “l’altro”, si ritrova isolata, priva di stimoli, incapace di seguire delle regole dettate dall’esterno.

Lati positivi e lati negativi del libro:

Critica: il racconto è un po’ romanzato, quasi edulcorato. Sembra che il protagonista abbia un rapporto molto positivo con tuttə, una visione che potrebbe apparire lontana dalla realtà.

Positivo: il libro dà un’immagine di un reparto di psichiatria diversa dal solito, più positiva e reale. Quando si raccontano i TSO è facile cadere nello stereotipo di un contesto pregno solo di rabbia e dolore. L’autore invece ha reso l’idea di una realtà più complessa: un luogo che può diventare teatro di situazioni estremamente ordinarie, come la nascita di amicizie, la preoccupazione per la famiglia che aspetta il ritorno di chi è in TSO, la nostalgia di casa e la maturazione attraverso il confronto con i compagni di stanza.

Il libro dà vita a dei personaggi che di fatto non hanno vita, per come è costruita la società.

Riesce a raccontare molte sfumature dei personaggi attraverso i dialoghi. Ci sono due persone con le quali non interagisce mai, ma grazie alla descrizione riusciamo a dare un volto anche a loro.

Riflessioni finali:

Alla fine dell’incontro sono emerse alcune domande.

Cos’è e cosa non è abilismo?
Quando qualcuno si prende la libertà di fare un commento inopportuno o di invadere uno spazio personale di una persona disabile.
Le microaggressioni quotidiane.
L’inaccessibilità dei posti pubblici.
E molto altro.
Ci sono diversi livelli di gravità, alcuni sicuramente più riconoscibili di altri, ma nessuna forma di abilismo è giustificabile.
È abilismo qualunque comportamento che hai con una persona disabile, ma che non avresti con una persona abile.

Ma abbiamo le basi per perseguire le microaggressioni?
Non ci piace pensare che per perseguire l’abilismo ci sia bisogno di inserire le persone in macrocategorie talvolta limitanti.
Non tutto è perseguibile penalmente, ma non basta la politica per risolvere i problemi.
Bisogna sviscerare il problema e parlarne, partendo dalle basi, dalla cultura, dalla consapevolezza sulle cose e dalla formazione.

Benaltrismo: perché le persone spostano l’attenzione dallo sbaglio che hanno fatto?
“Ma non esagerare, ci sono cose più gravi di un commento abilista”
E tante altre cose che siamo stanchə di sentire.
Il benaltrismo è quella tendenza retorica a spostare l’attenzione dallo sbaglio che hai fatto, sminuendone l’importanza e impedendo così un confronto costruttivo.
Quando parliamo di un problema, sottolineandone la gravità e cercando possibili soluzioni, spesso la risposta che riceviamo è “che al mondo esistono cose più gravi”. Queste frasi ci rinchiudono in un angolo dialettico dal quale è quasi impossibile uscire, una retorica fallace che mira a privare una questione della propria legittimità.
Dobbiamo scoprire tutto quello che c’è da sapere a riguardo e disintossicarci da questo meccanismo.

Non si dovrebbe mai smentire o sminuire l’abilismo, anche le cose che possono apparire “piccole”. Dobbiamo restare molto fermi e combattivi su tutti i punti, anche se ce ne sono alcuni più gravi di altri.
Non possiamo mai sapere come qualcosa fa sentire l’altrə e quali saranno le conseguenze. Ci sono persone che soffrono e muoiono a causa dell’abilismo, anche per ciò che apparentemente può sembrare “solo un commento”.
Anche gesti semplici e apparentemente “gentili” come le frasi di incoraggiamento e le “carezze di pietismo”, non possiamo mai sapere a quali conseguenze portano.

Fare una scala è rischioso, ma non dobbiamo mai scendere a compromessi. L’obiettivo è quello di riuscire ad entrare nelle discussioni quotidiane, creare un discorso.
Oggi siamo consapevoli che non basterà nessuna legge a portare il bene dell’umanità.
E finalmente possiamo dire che oggi si parla di queste cose. Questo ci toglie il peso di una vita.
Dobbiamo reagire e combattere per i nostri diritti.

“Tutto chiede salvezza” recita Daniele Mencarelli.
Ma noi oggi abbiamo capito che “tutto chiede diritti umani e civili, insieme ad un mondo libero dall’abilismo, dal benaltrismo e dalle microaggressioni quotidiane”.

Riassunto dell’incontro a cura di Grazia Di Sisto, co-fondatrice del “Progetto Tiresia”, per costruire attraverso l’arte e la cultura un mondo in grado di accogliere tutte le sfumature dell’essere umano.
Pagina Instagram: https://www.instagram.com/progettotiresia/

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